Diverse ricerche recenti hanno confermato che in Italia più del 40% della popolazione è classificata come analfabeta funzionale, ovvero – pur essendo tecnicamente capace di leggere e scrivere – risulta incapace di comprendere ciò che legge.
Quale ambiente migliore per l’attecchire delle fake news?
Si possono definire fake news quel particolare tipo di notizie che, introducendo elementi di sostanziale menzogna in contesto e ambiti di verosimiglianza formale, convincono un pubblico superficiale e poco attento che quella appena letta sia la verità “assoluta”.
Notizie false e tendenziose sono sempre circolate, tuttavia l’immediatezza della comunicazione digitale, che favorisce il rapporto diretto fra fonti e pubblici e, soprattutto, velocizza e intensifica i flussi informativi, produce un sovraccarico informativo in cui è più difficile costruire gerarchie e attribuzioni di rilevanza.
Diventa più problematico stabilire cosa è d’interesse pubblico, quali sono le informazioni assolutamente da condividere.
Le fake news possono variare nella forma con la quale si presentano. Si passa da slogan evocativi a immagini d’impatto, ma molto più spesso si tratta di un mix di entrambi.
Spesso fanno riferimento a diversi ambiti, da quello politico a quello sociale ed etico, andando a intercettare malcontento popolare su tematiche di attualità che suscitano forti reazioni di rabbia o indignazione, ma certamente l’ambito in assoluto più pericoloso è quello della “salute”.
Lo abbiamo vissuto in questi mesi sulla nostra pelle con la deriva no vax: mamme assolutamente ignoranti in materia, basandosi su notizie assolutamente senza alcun fondamento scientifico, hanno deciso di non vaccinare i propri figli, esponendoli a pericoli ben più gravi di quelli ipoteticamente derivanti da un siero iniettato a milioni di persone nel mondo.
E a denunciare la pericolosità delle fake news nell’ambito della salute è anche la virologa Ilaria Capua, attraverso un appello lanciato dal Journal of Virology nel saggio “Discovering Invisible Truths”.
“Dobbiamo essere consapevoli che viviamo in un’epoca nella quale la competenza e la verità sono svalutate”, ha spiegato la Capua. In questo contesto, frammenti delle conversazioni e confronti scientifici “possono essere facilmente fraintesi e interpretati in modo scorretto, o deliberatamente decontestualizzati, specialmente da persone che sono motivate da specifici punti di vista politici”.
Nel saggio la scienziata parte da una considerazione inconfutabile: “Il vento della ideologia anti-scientifica è attualmente forte su entrambe le coste degli oceani, dall’Atlantico al Pacifico”. Per questo è “importante e necessario” che gli scienziati scendano in campo, assumendosi responsabilità anche politiche, per difendere la scienza e la ricerca. “Nella mia personale esperienza – scrive Capua – è una vocazione che si lega al sacrificio e al rischio, personale e professionale, specialmente in un ambiente populista e di post-verità”.
Contro la diffamazione, la calunnia, gli attacchi sempre più frequenti che puntano a minare la credibilità degli scienziati, Capua ricorda che l’impegno per la scienza è l’impegno di chi “vuole che il mondo sia un posto migliore”.
“Come scienziati – conclude – abbiamo la responsabilità morale di sostenere il progresso della scienza piuttosto che la sua svalutazione e declino. Tempi difficili sembrano incombere, e noi non possiamo farci trovare indifesi, impreparati o incapaci di rispondere agli attacchi fomentati dai movimenti anti-scientifici”.