I linfonodi reattivi sono una particolare tipologia di linfonodi il cui volume è ingrossato in maniera più o meno evidente. Cerchiamo di comprendere più nel dettaglio quali siano le loro caratteristiche, quali le cause di un simile aumento di volume, e quali i sintomi utili per poterli riconoscere.
Cause dei linfonodi
Anche se spesso l’ingrossamento dei linfonodi è qualcosa che genera molta apprensione nei pazienti che sono affetti, e che immediatamente sono indotti a pensare di avere contratto qualcosa di davvero brutto, è bene ricordare che l’elenco di determinanti dei linfonodi reattivi è estremamente lungo, e può dipendere non solamente da problemi gravi quanto, più frequentemente, da cause non eccessivamente serie. Molto dipenderà non solamente dall’ampiezza del volume del linfonodo reattivo, quanto anche dalla tipologia di linfonodo che incrementa il proprio volume.
In particolare, se ad esempio si ingrossano i linfonodi ascellari, è possibile che si abbia in corso un’infezione batterica, mentre se ad essere ingrossati sono i linfonodi sottomandibolari potrebbe essere causa di un’infezione da “graffio del gatto” o da una carie dentale. Se a ingrossarsi sono i linfonodi della zona cervicale, la determinante potrebbe essere relativa a una semplice influenza. Trattandosi comunque di una lunga serie di determinanti, molte delle quali variano con incisività a seconda della zona di pertinenza, non possiamo che consigliarvi di parlarne con il vostro medico.
Sintomi dei linfonodi reattivi
Per quanto concerne i principali sintomi dei linfonodi reattivi, ricordiamo come il primo e più tangibile sia certamente l’ingrossamento dei linfonodi, che può essere ben visibile alla vista o risultare comunque eviente al tasso. Inoltre, la zona può far male e può apparire gonfia, calda e rossa. È inoltre possibile che a seconda del tipo di aumento di volume del linfonodo reattivo ci si accompagni con sintomi quali febbre, brividi, sudorazione eccessiva, scarso appetito, perdita di peso, rigidità del collo, difficoltà nella degutizione.
Cura dei linfonodi reattivi
La cura dei linfonodi reattivi è, in realtà, una cura che deve essere indirizzata ad eliminare la causa che ha determinato questo ingrossamento. Pertanto, nell’ipotesi in cui l’infezione sia di natura virale, la stessa dovrà essere debellata con specifiche terapie antibiotiche (se è batterica). Se invece l’origine è di natura neoplastica è possibile che si renda necessaria la rimozione chirurgica, o altre forme di cura come la radioterapia o la chemioterapia. Nell’ipotesi in cui si sia formato un ascesso nel linfonodo, può inoltre essere necessario il drenaggio chirurgico. Per poter temporaneamente alleviare il fastidio tipico dei linfonodi ingrossati può infine essere possibile applicare locamente degli impacchi caldi.
Diagnosi dei linfonodi reattivi
La prima diagnosi utile per poter individuare dei linfonodi reattivi può essere effettuata manualmente dal proprio medico, che con il tatto cercherà di comprendere se si tratti o meno di un linfonodo ingrossato. Naturalemnte, a questo primo esame seguiranno quelli più approfonditi, come l’ecografia, gli esami del sangue, la biopsia. Importante sarà anche l’analisi di tutti i sintomi correlati: il linfonodo non è in se una malattia, bensì è una derivazione di una situazione che sarà certamente accompagnata da altri sintomi, quali quelli che abbiamo già avuto modo di riepilogare.
Quanto durano i linfonodi reattivi
La durata dei linfonodi reattivi dipende principalmente dalla causa. È possibile che i linfonodi reattivi che rimangono tali non più di un mese siano figli delle cause meno gravi che abbiamo avuto modo di riassumere nei paragrafi che precedono. Se invece il linfonodo persiste per più tempo, è possibile che la malattia sia più grave, ma non necessariamente il paziente deve ritenere che si tratti di un tumore o patologia equiparabile per serietà
Insomma, in conclusione di questo nostro breve approfondimento, non possiamo che consigliarvi di procedere a una piena condivisione di tutti i sintomi con il proprio medico di fiducia, utilizzando un’opportuna tempestività che vi permetterà di affrontare alcuni problemi di varia natura prima che questi possano diventare più gravi. Anche se quando i linfonodi si ingrossano il pensiero va subito a qualcosa di decisamente serio e pericoloso per la propria incolumità, infatti, è bene ricordare che nella maggior parte dei casi il linfonodosi ingrossa per un’infiammazione localizzata.
Nel dubbio, cercate sempre di non sottovalutare ogni sintomo, e parlatene in maniera chiara e trasparente con il vostro medico.
Acetone nei bambini, come si riconosce e come si cura
L’acetone è un problema che colpisce tantissimi bambini, e che è in grado di determinare qualche piccola o grande preoccupazione nei propri genitori. In realtà, però, sarebbe opportuno rapportarsi con questa situazione con la dovuta calma e consapevolezza, intervettando tempestivamente i primi sintomi (i più comuni sono il mal di testa, un diffuso malessere, lo scarso appettio, i dolori addominali) e condividere con il proprio medico la possibilità di poter fronteggiare questo quadro certamente non incoraggiante, al fine di poter individuare i più efficaci rimedi, e donare al proprio bimbo il benessere che merita di avere.
Che cosa è l’acetone
L’acetone è un problema di natura metabolica che insorge quando l’organismo del bambino ha termianto la scorte di zuccheri a disposizione, utilizzabili per produrre energia, e inizia a prendere – per la stessa finalità – i grassi. Questo scenario può avvenire per diverse motivazioni, e non tutte sono necessariamente “gravi” (anzi): si pensi, ad esempio, alla possibilità di poter riscontrare un rialzo termico e dopo qualche giorno passato con la febbre e con scarsa alimentazione, dispende talmente tanta energia rispetto al precedente stato da richiedere più glucosio, che costituisce la principale risorsa di energia per il nostro corpo.
Se tuttavia l’organismo del bimbo ha già esaurito ogni riserva di zucchero per poter produrre l’energia che fino a quel momento gli è servita, non rimarrà altro da fare per poter produrre ulteriore energia intaccando la risorsa costituita dai grassi, i lipidi. E proprio quando si iniziano a bruciare i lipidi, si iniziano a formare i c.d. “corpi chetonici”, che nel loro percorso passano anche per le vie aeree producendo quel caratteristico odore che spesso rappresenta anche il segnale più tipico di acetone: un alito dall’odore ben riconoscibile, e che i genitori potranno facilmente captare come elemento di maggiore indicazione dell’acetone.
Come riconoscere l’acetone
Se avete letto con particolare attenzione le righe che precedono, dovreste ben avere intuito come sia abbastanza semplice cercare di riconoscere l’acetone nel proprio bambino, soprattutto se i genitori lo hanno potuto sperimentare una prima volta (e saranno così ben allenati a riconoscerlo ancora). Il primo e più tipico sintomo è infatti rappresentato dal caratteristico odore dell’alito del bambino, che saprà di frutta matura e sarà proprio condizionato dall’eccesso di acetone. La condizione è di norma accompagnata con altri sintomi facilmente riconoscibili, come il mal di testa, la spossatezza, l’inappetenza, i dolori addominali, il vomito, la disidratazione.
Come curare l’acetone
Per poter curare l’acetone è anzitutto necessario riconoscerlo correttamente e comprenderne l’entità. Può infatti capitare, ad esempio, che l’acetone compaia dopo un solo digiuno notturno, proprio per il fatto che le capacità dell’organismo del bambino sono piuttosto ridotte, e ridotta sarà anche la capacità di stoccaggio di zuccheri. In questo contesto la cosa da fare è semplicemente cambiare l’alimentazione del piccolo, che probabilmente è esageratamente ricca di grassi e zuccheri semplici, che esauriscono in breve il loro effetto. Il medico potrà pertanto consigliarvi di modificare il regime alimentare, andando a evitare la sera prodotti come le creme spalmabili, preferendo invece zuccheri complessi come quelli che si trovano nei cereali integrali.
Se invece l’acetone nei bambini è attinente a una crisi ben più intensa, l’obiettivo dei genitori – naturalmente, dopo aver sentito il proprio medico di riferimento – non potrà che essere quello di arginare le difficoltà dell’organismo del proprio piccolo mediante una terapia di maggiore impatto, che possa permettere al corpo del bambino di limitare la formazione eccessiva di chetoni. In questi casi può essere invece d’aiuto proprio assumere zuccheri semplici, pur in piccole quantità, come nel succo di frutto. Tuttavia se il bambino soffre di altri sintomi come il vomito (che è uno dei sintomi principali di una acetosi avanzata) è bene somministrare dell’acqua zuccherata o dei cucchiaini di succo, freddi.
In ogni caso, non possiamo rammentare che, soprattutto in questi scenari, è fondamentale parlare con il proprio medico dell’avanzamento della condizione, poichè potrebbe essere concreto il rischio di una disidratazione, che renderebbe invece immediato il ricorso al pronto soccorso, anche per poter valutare una reidratazione ingente, per via endovenosa. Cercate dunque sempre di parlarne in maniera tempestiva con il proprio medico al fine di evitare conseguenze più serie.
Che cosa è l’omocisteina e come tenere sotto controllo i suoi valori
L’omocisteina è un particolare aminoacido che viene prodotto dal nostro organismo per poter favorire il processo di ripartizione del metabolismo delle proteine. Si tratta pertanto di un aminoacido che svolge un ruolo piuttosto importante, ma che se presente in livelli eccessivi potrebbe altresì determinare guai molto più seri. I quali, fortunatamente, sono comunque ben arginabili nel caso in cui si monitorino attentamente i livelli di omocisteina, evitando che diventino troppo elevati e che, dunque, possano compromettere la salute aprendo margini di rischio di ictus, di attacchi cardiaci, di danni alle pareti arteriose, e così via.
Cosa fare se i valori sono troppo alti
Per capire per quale motivo sia così importante cercare di monitorare i livelli di omocisteina, cominciamo con il compiere un piccolo passo indietro e occuparci di un valore che invece dovreste conoscere molto bene: il colesterolo. Probabilmente tutti i nostri lettori sanno già che il colesterolo è un fattore di rischio molto significativo per la determinazione di alcune patologie, ma pochi stanno che, invece, come il colesterolo (e ancor di più di questo!) c’è un altro marker che riveste una simile importanza, l’omocisteina, uno degli aminoacidi che, in caso di raggiungimento di un livello troppo alto nel sangue, potrebbe determinare realmente un serio problema di salute.
Di fatti, esattamente come avviene per il più noto colesterolo, una parte di questo aminoacido è un prodotto metabolico della nostra alimentazione, ovvero dei cibi che ingeriamo quotidianamente. La dieta squilibrata, specialmente se è carente di alcune vitamine con quelle del gruppo B, aggiunta a uno stile di vita sedentario o associato a vizi altrettanto poco salutari (come il fumo, l’abuso di alcol, ecc.) può infatti favorire un aggravamento della situazione. Purtroppo, a volte a giocare un ruolo negativo sono anche alcuni fattori di natura genetica, o ancora alcuni medicinali, l’inquinamento atmosferico e altre determinanti ancora, in grado di influenzare in maniera nociva i processi metabolici dell’omocisteina.
Come controllare i valori dell’omocisteina
Per fortuna, controllare i valori di omocisteina nel sangue è abbastanza semplice, visto e coniderato che è sufficiente effettuare alcune analisi ematiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha in merito stabilito quali siano i range entro i quali i valori sono da reputarsi fisiologici, affermando che tali si intendono quelli entro le 13 micromoli per uomo adulto e le 10,1 per le donne adulte, e le 11,3 per i bambini sotto i quattordici anni di età. Nel caso in cui dalle analisi del sangue dovessero evidenziare valori al di sopra di quelli sopra riportati, è bene consultare tempestivamente il proprio medico e cercare di assumere qualche provvedimento per riportare i valori di riferimento entro soglie di ordinarietà.
Cause dell’omocisteina alta
Come abbiamo già anticipato, una delle maggiori cause di una omocisteina alta è un insufficiente apporto di vitamine del gruppo B. Possono inoltre essere considerate cause concomitanti l’incremento dell’omocisteina anche i fattori genetici e l’utilizzo di acido folico. Altri fattori di cause che possono scatenare un livello elevato di omocisteina sono lo stress e l’elevato consumo di caffè.
Come curare l’omocisteina alta
Una vera e propria cura per l’omocisteina alta, in relatà, non esiste. Tutto quello che però potete proficuamente fare è cercare di abbassarne i livelli incrementando le soglie di assunzione di vitamine del gruppo B mediante il maggiore consumo di verdure a foglia verde, di frutta e di altri alimenti che siano a base di cereali, contenenti acido folico. In aggiunta a ciò, risulta essere particolarmente utile cercare di abbassare il livello di stress: per fare questo, potete aiutarvi con esercizi di respirazione, praticando attività fisica e facendo un pò di yoga.
Rammentiamo infatti, in questa sede conclusiva di approfondimento, come lo stress possa indurre la produzione di epinefrina e di norepinefrina, due neurotrasmettitori che sono metabolizzati nel fegato mediante un processo che utilizza i gruppi metilici, e che per questo motivo l’organismo è indotto ad incrementare la produzione di acido folico, andando così a sviluppare i livelli di omocisteina nel sangue.
Per poterne sapere di più vi invitiamo naturalmente a consultare il vostro medico di riferimento e a condividere con lui ogni aspetto della vostra situazione clinica.