Aprile 30, 2024

Alopecia androgenetica nuova tecnica di medicina rigenerativa

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Alopecia androgenetica nuova tecnica di medicina rigenerativa

L’alopecia androgenetica è la più comune forma di caduta di capelli che colpisce uomini e donne.

L’88% della popolazione maschile soffre di alopecia e una donna su quattro ha problemi di calvizie, ed anche se si può vivere benissimo anche senza capelli, per tantissimi è un grave problema da affrontare.

Il termine “androgenetica” sta ad indicare che questa patologia ha una stretta dipendenza con gli ormoni androgeni e con i fattori genetici ereditari.

Una causa certa dell’alopecia androgenetica è, infatti, la presenza (ereditata geneticamente) dei recettori del deidrotestosterone (DHT) nel follicolo del capello. Il DHT viene prodotto, tramite l’azione dell’enzima 5- alfa- redattasi, a partire dal testosterone che è l’ormone androgeno per eccellenza, che è però presente anche nelle donne seppur in minor percentuale dei maschi.

L’alopecia androgenetica può essere dovuta ad un incremento del numero o dell’affinità dei recettori per gli androgeni, ad una diminuzione delle SHGB (proteine di trasporto degli androgeni nel sangue) o ad una diminuzione delle aromatasi follicolari (enzimi che convertono il testosterone in estrogeni, con effetto fortificante sul capello).

Nell’uomo, la malattia determina un progressivo diradamento dell’area fronto-temporale (la cosiddetta stempiatura) e del vertice, mentre nella donna la “caduta dei capelli” risparmia le tempie e colpisce soprattutto il vertice e la regione frontale, appena dietro l’attaccatura.

può essere contrastata tramite impiego di specifici farmaci.

Attualmente può essere curata soltanto attraverso due medicinali approvati dalla FDA. Il primo, il minoxidil, viene utilizzato per uso topico, è più efficace nell’area del vertice ed ha un meccanismo d’azione ancora poco chiaro. Il secondo, chiamato finasteride, viene assunto per os e combatte l’alopecia androgenetica impedendo l’azione dell’enzima 5-alfa-reduttasi di tipo 2.

Ma ora, a quanto pare, è disponibile una nuova tecnica che fa ricrescere i capelli e che ha una percentuale molto alta di successo.

Nello specifico, i ricercatori dell’Istituto dermopatico dell’Immacolata (Idi) Irccs di Roma hanno messo a punto una innovativa terapia biologica e cellulare basata sull’infiltrazione di derivati del sangue ed hanno ottenuto un grande successo: la ricrescita dei capelli nell’80% dei pazienti trattati per alopecia androgenetica.

Dallo studio è emersa la rilevanza di alcune proteine e delle piastrine nel sangue, combinate con l’utilizzo di un emo concentratore, creato e realizzato da una società italiana. L’emoderivato, iL-PRF, è plasma ricco di globuli bianchi, piastrine e fibrina.

Il metodo prevede un prelievo di sangue, poi il plasma viene separato attraverso l’emo concentratore. Successivamente si inietta il plasma nella zona dove è avvenuta la caduta.

Il procedimento può essere ripetuto più volte e non ha effetti collaterali gravi: in alcuni casi è stato accusato dai pazienti un gonfiore o un bruciore nei primi tre giorni di somministrazione, problema che si è risolto in modo spontaneo nei giorni successivi.

La sperimentazione è stata portata avanti su 168 persone (102 uomini e 66 donne) che perdevano i capelli per alopecia androgenetica e seguite per tre anni. Ventotto anni l’età media per gli uomini, 36 per le donne. Un altro gruppo di controllo con pazienti non sottoposti alla terapia è stato seguito per lo stesso periodo dai ricercatori che hanno verificato invece un peggioramento.

La tecnica fa parte della medicina rigenerativa che già da anni viene usata per contrastare alcune malattie come per esempio l’artrosi al ginocchio. I miglioramenti, si legge nello studio, sono stati evidenziati anche in pazienti colpiti da forma severa di alopecia.

«Un possibile campo di applicazione di questa tecnica riguarda anche pazienti che hanno perso i capelli a causa della chemioterapia» spiega Giovanni Schiavone, primo autore dello studio e responsabile dell’Unità di Medicina rigenerativa dell’Idi di Roma.

C’è comunque ancora bisogno di tempo per vedere come questa terapia possa diventare effettiva a fronte delle numerose sperimentazioni che sono già in agenda.

Lo studio in cui viene descritta la terapia è stato invece pubblicato dalla rivista americana Dermatologic surgery.

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